Cerca nel sito

login area condominiLOGIN area condomini


Articoli e Curiosità sul Condominio


  31-07-2012

L'EDIFICIO IN VIA LEONE IV 38 IN ROMA

Storia dell'ex Palazzo Allegretti

1.     CENNI STORICI (*)

Il palazzo romano di via Leone IV 38 è stato costruito alla fine dell’Ottocento, dopo l’approvazione del piano regolatore del 1883, sul nuovo allineamento stradale ricalcante l’antica via Triumphalis, quella percorsa dai cortei dei vincitori diretti al Campidoglio, vicino al punto in cui questa sorpassava il fosso della Valle dell’Inferno, chiamato anche della Sposata, poi coperto dall’attuale via Candia. Qui l’attraversamento era consentito da un ponticello davanti al quale gli imperatori d’Occidente dovevano prestare il primo giuramento al popolo romano e sostare una notte, per poi prestarne un secondo l’indomani, prima di entrare in città. Questo percorso costituì anche l’ultimo tratto della via Francigena con la quale i pellegrini raggiungevano da tutta Europa il Vaticano e la sua grande basilica.

Il terreno su cui l’edificio è stato innalzato era in origine del Capitolo di San Pietro come parte dei più ampi Orti Belardi.

Fu Remigio Cionci, il 4 giugno 1886, a presentare il primo progetto per l’intero stabile firmato da Piero Veladini, noto ingegnere dell’epoca, realizzatore anche di altri edifici della zona. Nell’ottobre 1886 ottenne la licenza edilizia, ma dopo appena otto mesi, il 4 giugno 1887, vendette il terreno col progetto approvato alla ditta Augusto Allegretti & C.

L’edificio, da allora denominato negli atti ufficiali “palazzo Allegretti” e poi chiamato familiarmente “il palazzone” dalla gente del quartiere, cominciò rapidamente ad innalzarsi per cinque piani abitabili nella stessa altezza complessiva di m. 22,90. Inoltre, per sfruttare al massimo l’area, come già previsto nel primo progetto, fu edificato nel cortile posto ad una quota inferiore di m. 3,40 rispetto a quella dell’androne d’ingresso un altro edificio alto m.19 con due corpi scala, piano cantine, terreno e tre piani.

I lavori furono sì giganteschi arrivando alle terrazze, ma non furono ultimati con le varie opere di finitura e vennero interrotti per la gravissima crisi edilizia che poco dopo investì l’intera città, mentre si fermavano centinaia di costruzioni già iniziate e si accumulavano ovunque fragorosi fallimenti e rapide liquidazioni. Tra queste ultime quella della ditta Allegretti & C. rimasta debitrice insolvente verso alcuni creditori e verso la Banca Tiberina alla quale andò la proprietà con sentenza di Tribunale del 17 novembre 1893. Ma anche la Tiberina attraversò una grande crisi, fu posta in liquidazione e tutte le sue pendenze, non senza contenziosi che si protrassero per anni, passarono alla Banca d’Italia che il 28 febbraio 1899 acquisì il “palazzo Allegretti” e decise finalmente di mettere a reddito l’immobile in abbandono da una decina d’anni e utilizzato solo al piano terreno dove avevano trovato posto magazzini, osterie e trattorie avvantaggiate dall’esenzione del dazio sul vino ed altri prodotti alimentari in quanto si trovavano al di là della “barriera Trionfale”, una vera e propria recinzione che passava nel mezzo di via Leone IV e si attestava sulla Porta Trionfale, dove oggi c’è l’incrocio con viale delle Milizie e via Andrea Doria.

Così la Banca d’Italia decise di procedere al completamento e al risanamento dell’immobile affidando il progetto all’ingegnere Eduardo Talamo, allora a capo della Società Italiana per l’Acquisto e la Rivendita dei Beni Immobili in Liquidazione, tecnico bravissimo e di aperte vedute, collaboratore anche di Maria Montessori nelle esperienze di edilizia sociale e autore nel 1910 del testo basilare “La CASA MODERNA nell’opera dell’Istituto Romano di Beni Stabili” finalizzato ad indicare le soluzioni ottimali per la vivibilità delle abitazioni.

Ottenuto l’incarico e presentato il progetto, questo fu esaminato il 15 novembre 1899 dalla Commissione Edilizia, la quale dispose che fosse “approvato con plauso, visto il sensibile miglioramento igienico che ne risentirà il grandioso casamento quando ne saranno eseguite le demolizioni progettate”,esprimendo così la più viva soddisfazione con quelle due parole che rimasero a verbale: un sostantivo, “plauso”, che rendeva al meglio il giudizio unanime della Commissione, ed un aggettivo, “grandioso”, che ora veniva attribuito a ciò che negli anni precedenti era stato solo uno stabile intensivo, incompiuto, non rifinito e disabitato.

Il parere fu ratificato dalla Giunta Municipale nella seduta del 18 novembre successivo e, dopo i dovuti atti amministrativi, fu rilasciata la licenza edilizia n° 10 del 17 gennaio 1900.

Con i lavori, conclusi in pochi mesi, l’edificio assunse l’aspetto attuale e, soprattutto, trovò al suo centro, nel grande cortile, tutto lo spazio per creare un sontuoso giardino. Dopo l’opportuno collaudo eseguito dall’ingegnere Pietro Dell’Olio, della Banca d’Italia, fu concessa l’abitabilità il 1° giugno 1900. Talamo ebbe allo stesso tempo anche l’incarico di amministrare il palazzo e, a partire dal secondo semestre dello stesso anno, siglò i contratti d’affitto con tutte le famiglie che vennero finalmente a dare vera vita al “grandioso casamento”, selezionandole con rigidi criteri per assicurare alla Banca d’Italia “di situare in quello stabile inquilini rispondenti al decoro dello stabile stesso” e continuando poi ad occuparsi perfino delle minime questioni riguardanti sia gli aspetti di gestione, sia quelli tecnici, sia quelli relativi a controversie varie. In seguito il palazzo passò al patrimonio dell’Istituto Romano Beni Stabili di cui lo stesso Talamo fu direttore e, all’inizio degli anni Venti, tutti gli appartamenti e i locali furono venduti a singoli privati.

L’ingegnere aveva compiuto nei cinque mesi concordati una specie di miracolo, realizzando con l’impresa del “capomastro” Francesco Brugnoli le seguenti opere: consolidamento delle strutture ove necessario e messa in sicurezza delle scale, in molti casi con ringhiere traballanti, carenti o, come per tutta la scala F, assenti; nuova ripartizione degli appartamenti e delle botteghe con posa in opera dei relativi pavimenti e realizzazione degli infissi; razionalizzazione degli accesi alle otto scale prima aperti sulle vie Candia, Ostia e Tolemaide ed ora sul cortile; demolizione parziale dei due ultimi piani del fronte su via Tolemaide, originariamente via privata e considerata semplice distacco, per la cui ristrettezza il Regolamento edilizio da poco approvato non consentiva le altezze già realizzate; “rivolto” di otto scale verso l’interno; varie opere di finitura, comprese quelle degli otto nuovi portoncini sul cortile e le mostre a chiaro scuro di tutte le finestre sullo stesso.

Ma l’opera decisiva e benemerita fu quella di aver letteralmente raso al suolo l’edificio interno che lasciava solo distacchi di 6 m. tra finestre prospettanti, con le condizioni di carenza di aria e di luce che si possono immaginare, offrendo così spazio al grande giardino che cominciò ad essere impiantato sul terrapieno reso necessario per raggiungere dopo le demolizioni la quota attuale, con le aiuole, le prime essenze arboree provenienti da villa Ada e la scogliera di tufo. Un’esperienza di cui Talamo sicuramente fece tesoro nei suoi progetti successivi e che lo portò così a teorizzare nel citato suo libro: “Questi spaziosi cortili allietati dal sole, dal verde dei giardini, circondati da pareti con finestre ornate di fiori, devono essere come il polmone dell’edificio, la parte migliore di questo, che col suo ordine, con la sua pulizia, con la sua gaiezza imprima decoro al casamento ed eserciti una prima benefica influenza sui singoli abitatori”. Nell’isolato di via Giordano Bruno 47 c’è una lapide dedicata ad “Eduardo Talamo senatore del Regno che genialmente innovando volse l’edilizia popolare a intenti di alta educazione civile”.

Un merito analogo va dato al progettista delle quattro grandi facciate, il quale, pur senza l’uso di materiali pregiati come marmi e travertini, ma solo con i vari trattamenti ad intonaci e stucchi di tutte le parti funzionali e decorative, aveva saputo conferire al palazzo un’equilibrata ed autorevole veste architettonica secondo modelli della tradizione classica impreziositi dall’eclettismo dell’epoca,

 

2.     IL CONDOMINIO

L’edificio in condominio di via Leone iv n. 38 è un unico corpo di fabbrica a pianta trapezoidale delimitato dalle Vie Leone IV (ove al civico 38 vi è l’ingresso), Via Candia, Via Tolemaide e Via Ostia. Esso è costituito di n. 10 scale, identificate dalle lettere dalla A alla K, e di locali e negozi distribuiti sulle quattro vie.

Al centro del cortile vi è un ampio giardino distribuito in due aree con alberi di alto fusto ed altre essenze arboree. Tutte le scale sono dotate di impianto ascensore e nel cortile esiste una costruzione seminterrata dove è ubicata la centrale termica dell’impianto di riscaldamento centralizzato. Impianto di riscaldamento che nel 2002 è stato trasformato in sistema di contabilizzazione di calore. Alla sommità dell’edificio vi è una terrazza condominiale di circa 2000 metri quadrati dove sono ubicate le ex cabine idriche ed i torrini e lucernai delle scale.

Il primo regolamento di condominio risale al 1923.

Da quell’anno si sono avvicendati vari amministratori del condominio e dal 1985 ad oggi l’edificio è amministrato da Paolo Mohoric’.

 

 

(*)  I dati storici e la descrizione dell’edificio sono tratti dal documento dell’Arch. Paolo Grassi “Il grandioso Casamento – 25/02/2010)



Scarica il documento

Allegato

(pannello-storico-leone38-del-low-res.pdf)